Il trapianto di midollo - ATL Siena O.D.V.

Associazione Toscana contro le Leucemie
ed i Tumori del Bambino
Siena O.D.V.
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Il trapianto di midollo osseo per una parte significativa dei bambini affetti da leucemia o da altre malattie oncoematologiche è talora l’unica cura possibile. Più correttamente dovremmo parlare di trapianto di cellule staminali ematopoietiche (CSE) per intendere non solo il trapianto di midollo osseo, ma anche quello di cellule del sangue periferico e quello di cordone ombelicale.

Cos’è il trapianto e cosa sono le cellule staminali ematopoietiche (CSE)
Il trapianto, ossia la sostituzione di un organo irrimediabilmente ammalato con un altro proveniente da un soggetto sano, è una delle più grandi conquiste della medicina. Molte malattie insorgono perché le cellule staminali ematopoietiche (CSE), contenute nel midollo e responsabili della produzione di miliardi e miliardi di globuli rossi, piastrine e globuli bianchi, non funzionano o per un difetto intrinseco di natura ereditaria (come ad esempio nella talassemia) o perché colpite da un processo tumorale (come ad esempio nella leucemia). In molti di questi casi, la guarigione definitiva si può ottenere distruggendo il midollo ammalato per poi sostituirlo con uno proveniente da un soggetto sano, cioè sottoponendo il paziente ad un trapianto.
Il midollo osseo (da non confondere con il midollo spinale contenuto nella colonna vertebrale e parte integrante del sistema nervoso) è un tessuto liquido, rosso come il sangue, localizzato negli spazi vuoti di alcune ossa, soprattutto del bacino. Il liquido midollare, raccolto in sacche di plastica come quelle delle trasfusioni, viene poi trapiantato al ricevente per via endovenosa, proprio come una semplice trasfusione.
A questo punto, le CSE contenute nel midollo del donatore, circolano nel sangue del ricevente per poi insediarsi nelle sue ossa, dove ricostituiscono un midollo “nuovo”, capace di generare globuli rossi, globuli bianchi e piastrine normali. I progressi della medicina hanno però oggi portato ad individuare che le CSE non sono presenti solo nel midollo, ma possono essere presenti nel sangue periferico e anche nel sangue da cordone ombelicale.
Le cellule staminali circolanti possono essere mobilizzate nel sangue periferico mediante la somministrazione di fattori di crescita e raccolte collegando la circolazione del paziente ad una macchina detta separatore cellulare (in pratica il sangue, prelevato da un braccio, attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto del sangue viene reinfuso dal braccio opposto). Proprio perché oggi le fonti di CSE possono essere diverse, non si usa più in generale il termine trapianto di midollo osseo, ma quello di trapianto di CSE. Le CSE sono progenitori cellulari in grado di differenziarsi nei diversi elementi del sangue (appunto globuli bianchi, globuli rossi, piastrine): la CSE è infatti una cellula non ancora differenziata, pluripotente, capostipite di tutti gli elementi fondamentali del sangue e anche di alcune cellule in altri tessuti. Si tratta di un tipo di cellula in grado di proliferare mantenendo intatta la potenzialità di replicarsi: è capace infatti di riprodurre se stessa e, contemporaneamente, produrre cellule figlie che, attraverso successivi processi di differenziazione e maturazione, daranno origine agli elementi maturi. Le CSE sono presenti a livello del midollo osseo e del sangue cordonale ad una concentrazione di 1 ogni 100 cellule e a livello del sangue periferico ad una concentrazione 100 volte inferiore. Sono caratterizzate da proprietà che le rendono utilizzabili per il trapianto, quali la grande potenzialità rigenerativa, la capacità di insediarsi a livello midollare dopo infusione per via endovenosa e la possibilità di essere sottoposte a criopreservazione.

Tipologie di trapianto
  • singenico, se il donatore è un gemello monozigote, cioè identico al paziente
  • allogenico familiare HLA compatibile, se il donatore è un fratello/sorella risultato compatibile alla indagine della tipizzazione tissutale
  • allogenico familiare parzialmente HLA compatibile, se il donatore è un fratello o un genitore non perfettamente identico al paziente
  • allogenico da donatore non consanguineo (HLA compatibile o parzialmente compatibile), se il donatore è stato identificato grazie alle banche di donatori di cellule staminali esistenti in tutto il mondo
  • aploidentico se il donatore è un genitore non compatibile

Da qualche anno è possibile eseguire il trapianto con le cellule staminali che sono presenti nel sangue di cordone ombelicale e che vengono prelevate al momento della nascita. Esistono infatti le banche di cordone ombelicale che mirano a raccogliere i cordoni ombelicali dei bambini nati, le cui madri esprimono la volontà della donazione. In tal caso si tratterà di un trapianto da cordone ombelicale che potrà essere singenico, allogenico da non familiare, HLA compatibile o meno come nelle suddette definizioni.

Il trapianto per quali malattie
Nel trapianto autologo,i pazienti ricevono le proprie CSE che sono state raccolte in precedenza e criopreservate. Il trapianto autologo è principalmente indicato per i tumori solidi e in casi selezionati di leucemia mieloide acuta, leucemia linfoblastica acuta e linfomi.
Nel trapianto allogenico, il paziente riceve le CSE da midollo osseo, sangue periferico o cordone ombelicale da un donatore che può essere un familiare o un non familiare compatibile o parzialmente compatibile. Il trapianto di CSE allogenico è una terapia indicata quando la malattia non può essere curata con terapie convenzionali meno rischiose o nel caso in cui queste non possano garantire una guarigione definitiva. E’ oggi il trattamento di scelta per una lunga serie di malattie acquisite e congenite come la leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio o in seconda remissione, la leucemia mieloide acuta, la leucemia mieloide cronica, l’anemia aplastica, le sindromi mielodisplastiche e mieloproliferative, i linfomi e alcuni tumori solidi dell’infanzia, le mielopatie iporigenerative (come l’anemia di Fanconi, l’anemia di Blackfan-Diamond e l’emoglobinuria parossistica notturna), le talassemie, le anemie a cellule falciformi e in casi selezionati di patologie ancora più rare. E’ inoltre il trattamento di elezione per gran parte delle immunodeficienze congenite, per alcune malattie lisosomiali e perossisomiali e, più recentemente, per diverse malattie autoimmuni. In età pediatrica, l’applicazione numericamente più rilevante è rappresentata dalle leucemie e dai linfomi.

La Tecnica
La tecnica del trapianto consiste, come detto sopra, nel prelievo di CSE da un donatore (trapianto allogenico) o dal paziente stesso (trapianto autologo). Il prelievo che avviene prevalentemente dal bacino, può essere facilmente estratto con aghi e siringhe in anestesia generale. Le complicanze di questo intervento sono rarissime e mai gravi. Una volta raccolto e trattato viene reinfuso nel ricevente, dopo averlo però sottoposto a radio-chemioterapia a dosi massimali, potenzialmente mieloablative, cioè in grado di eradicare il midollo del paziente e, nel caso delle malattie maligne, anche le cellule residue della malattia (regime di condizionamento). Il regime di condizionamento sopprime il midollo del paziente in modo irreversibile e non consente quasi mai il recupero ematologico spontaneo. Le cellule prelevate vengono infuse per via endovenosa nel sangue periferico e vanno a ripopolare il midollo osseo, dando così origine ad un nuovo sistema emopoietico ed immunitario. Pertanto il trapianto di CSE non è un'operazione chirurgica (si fa nella stanza del paziente)! Però, nonostante questa apparente semplicità, è una procedura biologica complessa, che può anche presentare alcuni rischi per la vita del paziente. Il trapianto non è solo l’infusione delle CSE, ma un lungo percorso di settimane e mesi che durerà anche dopo la prima dimissione.
Nel caso del trapianto autologo , il midollo osseo o le cellule staminali periferiche vengono prelevati dal paziente stesso durante una fase di remissione della malattia leucemica e vengono eventualmente sottoposte a purificazione (eliminazione selettiva di eventuali cellule maligne residue contaminanti con diverse tecniche), criopreservate in azoto liquido per essere poi reinfuse dopo il condizionamento radio-chemioterapico. Possono anche essere usate le cellule del sangue di un eventuale cordone ombelicale autologo precedentemente criopreservato. In questo contesto, la reinfusione di CSE ha lo scopo di consentire la somministrazione di farmaci chemioterapici a dosi improponibili in assenza di un supporto trapiantologico per ripristinare una funzionalità midollare altrimenti irreversibilmente alterata. L’impiego clinico di cellule staminali autologhe da sangue periferico può pertanto trovare applicazione nei pazienti affetti da neoplasia per il cui trattamento è indicata una chemioterapia ad alte dosi. Il trapianto autologo di cellule staminali periferiche presenta dei vantaggi rispetto a quello di midollo osseo: è caratterizzato da una maggiore rapidità di recupero immunoematologico, con possibile riduzione delle complicanze infettive ed emorragiche, e da una minore durata della terapia di supporto e della degenza. Il ruolo dell’autotrapianto nella terapia della leucemia acuta linfoblastica è però limitato. L’autotrapianto è un trattamento di maggior impiego nei tumori solidi o nella leucemia mieloide acuta. Nel trapianto allogenico il condizionamento ha anche come scopo quello di sopprimere la reattività immunologica del ricevente, in modo da evitare il fenomeno del rigetto (malattia dell’ospite contro il trapianto) o quello della malattia del trapianto contro l’ospite (meglio conosciuta con la sua sigla inglese, GVHD, che sta per graft-versus-host disease). Proprio per il condizionamento occorre la massima protezione del malato in camera protetta o sterile ed un'assistenza continua da parte di personale altamente specializzato. Requisito fondamentale per il successo del trapianto allogenico è una sufficiente uguaglianza (compatibilità) della coppia donatore/ricevente. Tutti conoscono i gruppi sanguigni (0, A, B,AB) la cui scoperta ha reso possibile la trasfusione del sangue senza reazioni. Nel trapianto di CSE bisogna prendere però in considerazione un altro sistema molto più complicato, chiamato HLA che comprende un grande numero di “lettere” e “numeri” (come in un codice fiscale) presenti sulla superficie dei globuli bianchi e trasmessi per via ereditaria. Se il sistema HLA del paziente non è sufficientemente uguale a quello del donatore, il trapianto può diventare molto pericoloso per la facile insorgenza di complicanze, come ad esempio la GVHD o il rigetto. Si può trovare nell'ambito della propria famiglia (con una probabilità dell'ordine del 25 per cento) un fratello o una sorella HLA uguali, ma questo oggi è più difficile poiché molte famiglie oggi hanno un numero limitato di figli (1-2) rispetto a tanti anni fa. In mancanza di un donatore familiare, questi dovrà essere ricercato nelle Banche di Donatori che in pratica sono liste computerizzate (chiamate registri) di volontari disponibili a donare il midollo osseo o il sangue periferico o nelle Banche di Cordoni Ombelicali. Il successo del trapianto da soggetti non-consanguinei oltre a dipendere da una serie di variabili cliniche (come il tipo e la fase della malattia, l’età del paziente, la chemioterapia precedente) è fortemente condizionato da questa compatibilità. Il prelievo di midollo dal donatore, come detto sopra, viene effettuato in anestesia generale per mezzo di una serie di punture aspirative eseguite in corrispondenza del bacino posteriore. Nel tempo col trapianto di CSE allogenico si viene a creare una sorta di convivenza tollerante tra i sistemi cellulari del donatore e del ricevente (chimera): quando questa “tolleranza” non si instaura possono verificarsi le due complicanze immunologiche di cui sopra (il rigetto e la GVHD). L’attecchimento delle CSE trapiantate richiede generalmente un periodo di alcune settimane durante il quale si assiste, parallelamente al ripopolamento midollare, alla graduale ripresa delle conte delle cellule del sangue periferico (più spesso per ultime le piastrine). Durante l’immediato periodo post-trapianto, prima dell’attecchimento (aplasia), ricopre un ruolo fondamentale la terapia di supporto che comprende l’isolamento in ambiente protetto, le trasfusioni di emocomponenti, la profilassi e la terapia delle infezioni, la prevenzione delle complicanze immunologiche con farmaci specifici.

Prima del Trapianto
Nelle settimane che precedono il trapianto vengono di solito effettuate tutta una serie di indagini strumentali e di laboratorio al ricevente per valutare le sue condizioni cliniche, definire quali procedure sono più adeguate e considerare se può essere candidato a specifici protocolli.
Ai pazienti provenienti da altri centri di cura verrà pertanto richiesto di essere presso il Centro Trapianti già alcune settimane prima del trapianto stesso. Nello stesso periodo, qualora il paziente non l’avesse già, verrà posizionato un catetere venoso centrale che è un tubicino collocato in una grossa vena che consentirà di effettuare tutte le procedure (incluso il trapianto stesso) e la somministrazione di tutti i farmaci durante la degenza e i periodi successivi. Prima del trapianto, se opportuno anche in più occasioni, si svolgeranno incontri tra i medici del team trapiantologico e la famiglia e il paziente per spiegare tutti i dettagli della procedura e degli eventuali problemi presenti e futuri e per rispondere esaustivamente a tutte le domande opportune.

Il regime di condizionamento e le complicanze
Il regime di condizionamento a cui viene sottoposto il paziente, nel periodo che precede l’infusione di cellule staminali ematopoietiche è una terapia aggressiva. In genere comprende chemioterapia ad alte dosi, ma, in alcune malattie come la leucemia linfoblastica acuta o alcuni linfomi comprende anche una radioterapia costituita da una irradiazione corporea totale (“total body irradiation” o TBI) Una terapia di questa entità implica necessariamente dei rischi, sia precoci che tardivi.

Le complicanze precoci comprendono: il rigetto delle cellule trapiantate da parte dell'ospite, la malattia del trapianto contro l'ospite (GVHD) acuta e le infezioni. Infatti, dopo l’infusione delle CSE, sono necessari molti mesi per il recupero di funzioni immunitarie normali. Il deficit di funzionalità del sistema immunitario espone il paziente ad un rischio infettivo che rende indispensabile un’attenta sorveglianza, un’assistenza intensiva e comportamenti di cautela.

Le complicanze tardive possono comprendere: la GVHD cronica, un’immunodeficienza prolungata e le recidive della malattia di base. Nei pazienti che non presentano sequele croniche di una GVHD, tutti i farmaci immunosoppressori possono essere sospesi sei mesi/un anno dopo il trapianto di CSE, rendendo infrequenti, in questi pazienti, le complicanze tardive.
A differenza con quanto succede nei trapianti di organo solido dove è invece necessario somministrare al ricevente farmaci immunosoppressori per tutta la vita. Le procedure del trapianto in pazienti pediatrici possono influire sulla normale evoluzione del bambino condizionandone la crescita, e la funzione di alcune ghiandole come la tiroide o quelle dello sviluppo sessuale. È necessario pertanto seguire nel tempo il bambino assicurandogli tutti i supporti attualmente disponibili per consentire, qualora fosse necessario, le terapie più opportune che aiutino a migliorare la qualità di vita rendendola il più possibile normale.

Dr. Attilio Rovelli
responsabile del Centro Trapianti dell' Ospedale San Gerardo di Monza
A.T.L. ODV
c/o Istituto
Clinica Pediatrica
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"Tutti i grandi sono stati bambini una volta ma pochi di essi se ne ricordano"
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